AL PADRE : SALVATORE QUASIMODO



                                                                         AL     PADRE  


 Dove sull'acque viola
era Messina, tra fili spezzati
e macerie  tu vai lungo binari
e scambi col tuo berretto di gallo
isolano. Il terremoto ribolle
da tre giorni, è dicembre d'uragani
e mare avvelenato. 

Le nostre notti cadono
nei carri merci e noi bestiame infantile
 contiamo sogni polverosi con i morti
sfondati dai ferri, mordendo mandorle
e mele disseccate a ghirlanda.

 La scienza
del dolore mise verità e lame nei giochi dei bassopiani di malaria
gialla e terzana gonfia di fango.

La tua pazienza
triste, delicata, ci rubò la paura,
fu lezione di giorni uniti alla morte
tradita, al vilipendio dei ladroni
presi fra i rottami e giustiziati al buio
dalla fucileria degli sbarchi, un conto
di numeri bassi che tornava esatto
concentrico, un bilancio di vita futura.


Il tuo berretto di sole andava su e giù
nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
Anche a me misurarono ogni cosa,
e ho portato il tuo nome
un po' più in là dell'odio e dell'invidia.

Quel rosso sul tuo capo era una mitria,
una corona  con le ali d'aquila.

E ora nell'aquila dei tuoi novant'anni
ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali
di partenza colorati dalla lanterna
notturna, e qui da una ruota
imperfetta del mondo,
su una piena di muri serrati,


lontano dai gelsomini d'Arabia
dove ancora tu sei, per dirti
ciò che non potevo un tempo - difficile affinità
di pensieri - per dirti, e non ci ascoltano solo
cicale del biviere, agavi lentischi,
come il campiere dice al suo padrone:


«Baciamu li mani». Questo, non altro.
Oscuramente forte è la vita.



SALVATORE   QUASIMODO  

Commenti

  1. Bellissima la frase "la tua pazienza triste e delicata ci rubò la paura" .... Struggente Poesia che mi intenerisce.

    Gianluigi Melucci

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