ALIMENTAZIONE DEI ROMANI : I NOSTRI GENITORI

                                                                    ALIMENTAZIONE DEI ROMANI


L’uso del pane divenne generale solo al principio del II secolo a.C. Nei primi secoli il grano (entrato a far parte della dieta dei Romani nel IV sec. a.C.) serviva a preparare la puls (una pappa di frumento). Del pane, oltre ad alcuni tipi speciali come il pane d’orzo, vi erano tre qualità: Il pane nero, di farina stacciata rada, consumato principalmente dai più poveri; il panis secundarius, più bianco ma non finissimo; il pane di lusso (panis candidus, mundus). Il pane veniva cotto in forno o in recipienti speciali come il clibanus.

Dei legumi i più usati erano le fave, le lenticchie e i ceci; degli ortaggi le lattughe, il cavolo, il porro; si faceva gran consumo anche di erbe lassative (malve, bietole ecc.). Gli asparagi e il carciofo (carduus) erano più rari che da noi ed erano presenti solo sulla tavola dei più ricchi. I Romani amavano in particolar modo i funghi, soprattutto i boleti (forse i morecci), come dimostrano numerosi passi di autori, specialmente di Marziale.

La frutta d’uso comune era quella che più si consuma anche da noi a eccezione degli agrumi che venivano dall’Oriente e cominciarono a fare la loro comparsa in Italia verso il IV secolo d.C.: mele (mala), pere (pira), ciliegie (cerasa), susine (pruna), uva (fresca o passa, o anche conservata entro recipienti di coccio: uvae ollares), noci, mandorle (nux amygdala), castagne. La coltivazione delle ciliegie venne introdotta dal Ponto durante le guerre mitridatiche; nei primi secoli se ne conosceva solo una qualità selvatica, detta cornum. Fra le mele era nota la mela cotogna (malum Cydonium) di cui si facevano anche allora delle marmellate. Dall’Armenia era venuta l’albicocca (malum Armeniacum, o praecox); ed entrava nella composizione di certi piatti, per esempio, nello spezzatino di spalla di maiale. Molto comuni erano i datteri (dactyli, palmae, caryotae) che venivano importati dai paesi caldi.

Il consumo di carne, inizialmente diffuso soprattutto tra i ceti più abbienti, si estese in seguito a settori più larghi della popolazione. Era nettamente preferita la carne suina, che veniva cucinata arrosto, stufata o lessa. Largo era il consumo delle salsicce, delle quali esistevano vari tipi: la più apprezzata era la lucanica, detta così dal nome della Lucania (odierna Basilicata), nei cui boschi pascolavano grandi quantità di suini (è rimasto nella lingua italiana il termine luganiga o luganega, che oggi indica però una salsiccia tipica del Veneto e della Lombardia).


Le carni di maiale erano conservate sia affumicate sia salate, e fornivano anche ottimi prosciutti.


A Roma, la macellazione dei bovini fu proibita a lungo, per non sottrarre questi animali al lavoro dei campi, ed era solitamente limitata agli animali vecchi e malati. Nei sacrifici agli dèi era regola abbattere bovini, ma le viscere venivano bruciate e le parti migliori andavano ai sacerdoti. Quello che restava, e cioè le parti scadenti veniva distribuito o venduto al pubblico. In età imperiale, il consumo di carne bovina si diffuse ma restò sempre piuttosto limitato: al manzo e alla vitella, i Romani continuarono sempre a preferire i capretti, gli agnelli e i porcellini. Abbondante era anche il consumo di pollame e di animali da cortile.
Data la grande disponibilità di selvaggina (l’Italia era ricoperta di boschi), la cucina romana faceva largo uso – ovviamente per chi poteva permetterselo – di cacciagione: fagiani, pernici.

Nel II secolo a.C. entrò a far parte dell’alimentazione dei Romani il consumo del pesce. Non si trattava soltanto dei normali pesci mediterranei (orate, saraghi, cefali, merluzzi, spigole, tonni, triglie, sardine… ) ma anche di molluschi e di crostacei (aragoste, ricci, ostriche) e pesci come le murene, allevate in apposite vasche. Nei mari non inquinati di allora le ostriche si riproducevano con rapidità: ne esistevano decine di specie e non mancavano gli intenditori che le consumavano crude e con l’aggiunta di qualche salsa, proprio come oggi.

Tra i condimenti il più usato era ovviamente l’olio di oliva. A Roma se ne usava molto e non soltanto in cucina: l’olio era infatti impiegato anche nelle cerimonie religiose, come base per produrre cosmetici, come combustibile per l’illuminazione.
Un condimento molto amato era anche il garum, una salsa piccante preparata con interiora e pezzetti di pesce salato, ridotti in poltiglia e fatti fermentare al sole. I Romani ne erano appassionati e non esitavano a pagare prezzi altissimi per un prodotto di buona qualità.

Al primo posto tra le bevande vi era il vino, di cui esistevano, come in Grecia, numerosi tipi e qualità, con prezzi molto vari. Lo bevevano tutti e in abbondanza, ricchi e poveri, anche gli schiavi; solo alle donne era severamente proibito, perché l’ebbrezza era accomunata all’adulterio, la colpa più grave per una donna romana secondo la mentalità tradizionale.
Il vino non veniva quasi mai consumato puro (al pari che in Grecia e presso gli Etruschi), perché di alta gradazione e perché poteva assumere sapori sgradevoli, ma diluito in acqua e mescolato a spezie, erbe aromatiche, miele. Molto diffusa era la posca, una miscela di acqua e vino di scarto prossimo a inacidirsi.


Gianluigi Melucci Blogger

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