TAKASHI MURAKAMI : ARTISTA POP




 

                                                                                   Takashi Murakami



Attingendo sia dai canoni estetici di bidimensionalità dall'arte del Giappone tradizionale, che dall'immaginario feticista e consumistico degli otaku, Murakami ha definito lo stile Superflat (super piatto),caratterizzato dall'integrazione di una grande varietà di elementi, della subcultura e della cultura giapponese come gli anime degli anni settanta, o provenienti dai dipinti del XVII secolo giapponese, dal Kabuki e dallo joruri di epoca Edo, fusi e appiattiti in immagini dalle superfici levigate e dai colori brillanti.

I temi estetici da cui attinge Murakami sono amplificati ed esaltati a tal punto da far emergere, nella sua poetica, questioni apparentemente assenti nelle tematiche kawaii dell'immaginario otaku. Nel 2000 l'artista aveva dichiarato di riconoscere nell'estetica otaku una manifestazione culturale, sotottovalutata e ingiustamente disprezzata, che rispecchiava il nuovo Giappone.

Nel 2001 Murakami ha iniziato a diffondere la sua concezione estetica in cui si mescolano la tradizione, il pop e l'otaku (Po-ku), curando una mostra collettiva intitolata Superflat.

La mostra era il manifesto di Murakami e di un collettivo di artisti giapponesi che si riconoscevano nella originalità culturale del Giappone contemporaneo.[12] Paragonando Superflat e otaku, il filosofo Hiroki Azuma ha rilevato che l'estetica Superflat fa anche riferimento alla perdita del senso dei confini tra l'originale e la copia, o tra l'autore e i consumatori, caratteristiche postmoderne tipiche della subcultura otaku.

Murakami è inoltre riuscito a rendere mobile e incerto il confine tra la cosiddetta high art, l'arte alta, destinata ai musei e ai ricchi collezionisti, e la low art, ovvero gli oggetti prodotti in serie e destinati al consumo di massa: la sua mostra © Murakami, un ventaglio della sua poliedrica attività creativa e commerciale, ospitava un negozio che vendeva i suoi oggetti di consumo.

Oltre ad aver disegnato una serie di borse per Louis Vuitton, vendute tra 1000 e 5000 dollari, ha prodotto e commercializzato agende, caramelle, giocattoli, pupazzi, skateboard, t-shirt, cuscini e carte da parati.

Se si escludono alcuni episodi isolati, come ad esempio gli oggetti che Claes Oldenburg vendeva nel 1960, questa capacità di penetrare il mercato a diversi livelli è un salto che la Pop art non aveva mai fatto in modo così deliberato e programmatico.

Murakami ha intuito che in Giappone non esiste, come in occidente, un confine idealisticamente definito tra cultura alta e cultura bassa, tra arte e mercato, e ha riconosciuto senza pudori il desiderio delle masse di possedere oggetti legati ad un immaginario.

Il mercato dei prodotti derivati dell'industria culturale era già diffuso nel mondo dei manga e degli otaku, e più in generale nell'industria dell'intrattenimento.

Gianluigi Melucci Blogger 

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