EFFICIENZA DI PARETO




Il problema del massimo surplus (in particolare sociale), studiato in precedenza, può essere visto come una
applicazione o una conseguenza del criterio di Pareto, un criterio piuttosto generale usato per tentare di
stabilire cosa “migliore”, e poi cosa sia “ottimo”, per una società. La nozione di “società” andrà di volta in
volta intesa all’interno del problema che si sta studiando: potrebbero essere due sole persone, o più di due,
tutte operanti scelte tra loro analoghe, per esempio tutte scelte di consumo; oppure potrebbero essere due
gruppi che operano scelte di tipo diverso, per esempio produzione e consumo; o ancora potrebbero essere
due persone che svolgono ruoli diversi all’interno di una relazione economica che li lega, per esempio
venditore e acquirente, oppure assicuratore e assicurato, datore di lavoro e lavoratore, delegante e delegato;
eccetera.
Lo studio di cosa sia “buono” per la società pone un problema di ordinamento: occorre cioè definire cosa
significa che una certa “situazione sociale” sia migliore di un’altra. Il termine “situazione sociale” è
volutamente astratto e vago: di volta in volta esso assumerà un significato più preciso in relazione ai
problemi che studieremo.
Occorre subito sgombrare il campo da un criterio di ordinamento che, benché possa apparire intuitivo, non è
praticabile in generale. Si tratta del criterio secondo cui il benessere sociale si misura sommando il benessere
ottenuto da tutti gli individui partecipanti. Tale criterio non è in generale praticabile perché non ha senso
sommare soddisfazioni di alcuni individui a utilità attese di altri e a profitti di altri ancora: specie per quanto
riguarda la soddisfazione ottenuta da un consumatore, è improbabile che essa sia misurabile numericamente
(vedremo ancora più avanti che la nozione di “utilità” non significherà per noi la misura di qualche oggettiva
quantità psicologica, ma semplicemente un indicatore convenzionale di preferenza). Bisogna allora adottare
un criterio di ordinamento delle situazioni sociali che sia meno stringente della somma numerica.
L’ordinamento che viene usualmente accettato in microeconomia è il cosiddetto ordinamento di Pareto: il
termine deriva dal nome dell’economista e sociologo italiano Vilfredo Pareto, il quale propose più di un
secolo fa tale nozione. Cerchiamo di spiegarla.
Consideriamo situazioni che rappresentano le possibili soluzioni di un problema al quale sono interessati più
soggetti, per esempio come distribuire fra più individui un dato ammontare di un bene, oppure decidere che
quantità di un certo bene la società deve produrre e consumare. Solitamente, passando da una situazione ad
un’altra, il benessere individuale di ogni singolo soggetto interessato cambia. Supponiamo che ogni
individuo sappia valutare come sta, ovvero qual è il suo benessere, in tutte le situazioni possibili:
supponiamo, cioè, che date due situazioni sociali alternative, l’individuo sappia sempre dire se sta meglio in
una che nell’altra, o viceversa, o al limite se il suo benessere non varia tra le due situazioni.
Ciò posto, diremo allora che
una situazione B è migliore nel senso di Pareto rispetto alla situazione A
se in B almeno un soggetto sta meglio che in A, e nessun altro sta peggio.
State attenti: per decidere se una situazione è migliore di un’altra nel senso di Pareto non si confronta il
benessere di un individuo con quello di un altro individuo nella medesima situazione; si confronta invece il
benessere del medesimo individuo nelle due situazioni, si replica tale confronto per tutti gli individui, e poi ci
si chiede come cambia la situazione di tutti nel passaggio da A a B.
L’ordinamento di Pareto richiede dunque che nessuno si opponga al passaggio da A a B, in quanto nessuno
peggiora la propria posizione, e anzi qualcuno la migliora. Nulla invece si può dire, secondo tale
ordinamento, se confrontando una situazione C con una situazione D troviamo che qualcuno sta meglio in D
che in C ma anche che qualcuno sta peggio: in tal caso C e D non sono confrontabili nel senso di Pareto, in
quanto non siamo autorizzati a dire né che C è migliore di D, né che D è migliore di C. In un certo senso,
quindi, con l’ordinamento di Pareto non ci si vuole assumere troppe responsabilità: se almeno un soggetto
dovesse stare peggio in seguito ad un cambiamento, anche se tutti gli altri stessero meglio il criterio
paretiano si asterrebbe dal dare un giudizio di preferenza sociale sul quel cambiamento.
Talvolta questa caratteristica del’ordinamento di Pareto, di non potersi pronunciare sul confronto fra certe
situazioni, viene chiamata “incompletezza”: non tutte le coppie di situazioni sono ordinabili.
Ora che sappiamo cosa significa “migliore”, possiamo dire cosa significa “ottimo”. Accade come per la
definizione del massimo tra i numeri appartenenti ad un certo insieme: se dobbiamo dire qual è il numero più
grande tra quelli compresi fra zero e dieci, rispondiamo che è dieci, perché in quell’insieme non esiste un
altro numero che sia maggiore di dieci. Notate che per dare tale risposta non possiamo ricorrere a qualche
sinonimo di “massimo”, per esempio dire “perché dieci è il più alto”: infatti “il più alto” significa “il
massimo”. Le definizioni devono essere date con termini già definiti in precedenza. Per dare questa risposta,
infatti, dobbiamo sapere preventivamente cosa significa “maggiore” nel campo dei numeri: solo a partire
dalla definizione di “maggiore” possiamo dare la definizione di “massimo”.
Lo stesso accade per l’ordinamento paretiano: dato un insieme di alternative sociali disponibili, noi sappiamo
già cosa significa “migliore nel senso di Pareto”. Diremo allora che
la situazione Z è ottima nel senso di Pareto se tra le alternative disponibili
non ne esiste una che sia migliore di Z nel senso di Pareto.
Naturalmente, non basta che una situazione sia migliore di un’altra perché sia ottima: se B è migliore di A nel
senso di Pareto, non necessariamente è ottima, perché potrebbe esistere un’altra situazione C migliore di B.
Un modo alternativo per dire che la situazione Z è ottima nel senso di Pareto è dire che a partire da Z non è
più possibile migliorare la posizione di qualcuno senza peggiorare quella di qualcun altro; o, in altri termini
ancora, si può dire che Z è ottima se, in qualunque modo ci si sposti da Z, almeno un soggetto tra i
partecipanti peggiora la propria posizione.
Di nuovo, state bene attenti: per stabilire se una situazione è ottima nel senso di Pareto dobbiamo
immaginare di trovarci già in quella situazione, e poi ci chiediamo se sia possibile spostarci da lì ottenendo
qualche miglioramento nel senso di Pareto; se la risposta è “no”, allora la situazione in questione è ottima.
Per capire bene il punto facciamo un esempio. Supponiamo che il problema “sociale” sia distribuire una data
torta fra due individui, Rossi e Neri: quali sono le distribuzioni della torta che sono ottime nel senso di
Pareto? La prima risposta che viene in mente è “metà a Rossi e metà a Neri”. In effetti questa è una riposta
corretta, perché se vogliamo migliorare anche di poco la situazione di uno dei due, per esempio Neri,
dobbiamo dargli un’ulteriore fettina di torta, che però va necessariamente tolta a Rossi il quale di
conseguenza starà peggio; questo non sarebbe dunque un miglioramento paretiano, e anche un movimento
nell’altra direzione non lo sarebbe.
Che dire però di una situazione in cui Rossi ha ¼ della torta e Neri ne ha ¾? Anche questa è una situazione
ottima nel senso di Pareto, perché se vogliamo migliorare la posizione di Rossi dobbiamo peggiorare quella
di Neri, e questo non sarebbe un miglioramento paretiano, e neppure lo sarebbe un movimento nell’altra
direzione.
Ripetiamo un punto importante: per stabilire se una situazione è ottima non dobbiamo confrontare il
benessere di Rossi con quello di Neri; dobbiamo invece confrontare il benessere attuale di Rossi con quello
che Rossi stesso avrebbe in una situazione alternativa, e lo stesso dobbiamo fare per Neri: se scopriamo che
per ogni possibile situazione alternativa almeno uno dei due starebbe peggio, allora diremo che siamo già in
una situazione ottima.
A questo punto avete capito: tutte le distribuzioni della torta sono ottime nel senso di Pareto, persino quella
in cui Rossi ha tutto e Neri ha niente. Inoltre, si osservi che due diverse distribuzioni della torta non sono tra
loro confrontabili nel senso di Pareto. Infatti nel passare da una all’altra uno dei due soggetti sta meglio ma
l’altro sta peggio, e dunque non si può predicare alcun miglioramento paretiano.
L’esempio della torta ci insegna due cose. In primo luogo l’ordinamento paretiano si può applicare a
situazioni sociali generali, non solo quelle in cui sono coinvolti prezzi e mercati. In secondo luogo il criterio
di Pareto non ha nulla a che fare con problemi di equità distributiva: il problema dell’equità, quando deve
essere studiato, va studiato per mezzo di altri criteri.
Il criterio di Pareto, dunque, è in un certo senso debole: in molti casi non ci consente di formulare un
giudizio perché certe alternative non sono tra loro confrontabili, e inoltre potrebbe lasciarci insoddisfatti il
disinteresse nei confronti dell’equità. Questo criterio, però, è molto preciso ed è difficilmente soggetto a
critiche da parte di chi è coinvolto nella scelta, in quanto questo criterio può solo suggerire di muoverci verso
situazioni in cui nessuno peggiora il proprio benessere.
In secondo luogo, l’esempio della torta ci insegna anche un’altra cosa. Immaginiamo che chi ha spartito la
torta faccia arrivare due piatti a Rossi e Neri: il primo contiene il 70% della torta e il secondo il 29%. Capite
bene che in questo caso chi ha spartito la torta ha commesso uno “spreco”, tralasciando di distribuire qualche
briciola residua: dunque è possibile utilizzare quelle briciole e far migliorare la posizione di Neri, portandolo
al 30%, senza peggiorare quella di Rossi. È tuttavia anche possibile migliorare la posizione di Rossi,
facendolo passare al 71%, senza peggiorare quella di Neri. In entrambi in casi avviene un miglioramento
paretiano. Possiamo allora affermare che una situazione in cui si verificano sprechi non può essere ottimale
nel senso di Pareto: per tale ragione diciamo che il criterio di Pareto insiste sull’efficienza sociale, e una
situazione ottima nel senso di Pareto si dice socialmente efficiente. In altri termini, il criterio paretiano ci
induce a cercare quantomeno le situazioni in cui la “torta” che si può distribuire fra i partecipanti è la più
grande possibile, cioè non ne vada persa alcuna parte in sprechi.

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