L' ARTE VISIONARIA DI CESAR MONTI



                                                                           CESAR  MONTI 




Nella sua carriera Monti ha prodotto oltre 250 immagini per album di musica (fondamentalmente italiana, con incursioni riuscitissime anche in ambito internazionale). Ma la sua produzione non si è “limitata” solo alle classiche copertine, qualche volta si è interessato anche a tutto ciò che è parte integrante di questo lavoro come, ad esempio, creare copertine apribili con dei superbi ed originali inseriti fotografici al proprio interno.


Per lui ogni copertina era una sfida ed ogni immagine non era mai fine a sé stessa ma doveva rappresentare un racconto, una storia, un ‘qualcosa’ in perenne divenire che non doveva esaurirsi nel lavoro ma proseguire, nel tempo, sulle ali della fantasia.


Mai un’idea doveva essere mutuata dalla precedente, ogni lavoro doveva invece rappresentare un esperimento nuovo, un desiderio da appagare per proseguire nel lavoro complessivo della sua visione artistica, per manifestare il senso di una natura creativa e di innovatore senza confini né definizioni ultimative.


Osservando le copertine create, Monti non aveva né poneva limiti alla sua fantasia e gli oggetti più improbabili o maggiormente vicini alla vita comune con lui si trasformavano diventando oggetti d’arte, emozioni, elementi totemici, simboli quasi esoterici. Il quotidiano veniva come trasformato, plasmato, arricchito dal suo genio e l’impensabile diventava, quasi fosse un fatto naturale, elemento di stupore inatteso, di meraviglia nella scoperta di ciò che era sempre sotto gli occhi di ciascuno e che non si era mai palesato come opera di compendio all’arte.


Una finestra, un portone, un martello, una valigia, una sedia…ogni oggetto, sotto lo sguardo di Monti prendeva vita, si ergeva a soggetto attivo di un’opera d’arte. Già, perché le copertine degli album di Monti (con il supporto di Vanda, non dimentichiamolo…), erano, sono e saranno opere d’arte contemporanea perché capaci di leggere il quotidiano, di creare simboli, di esprimere chiavi di lettura, di illustrare il contenuto degli album, di corrispondere emozioni.

L’arte non è qualcosa che si studia a tavolino, ma la costanza, l’applicazione, il rigore, la professionalità rendono possibile la creazione di opere capaci di superare il tempo.

Non sempre, è vero, ma quando questo succede allora l’arte riesce ad andare oltre la contemporaneità per diventare esperienza da condividere attraverso un linguaggio nuovo, rendendo così possibile la creazione di nuovi percorsi sui quali aprire visioni artistiche alternative al vissuto del presente.

Gli anni ’70 sono stati un decennio ricco di stimoli, di contraddizioni e anche di violenza (non scordiamolo mai) ma, soprattutto, di nuove modalità espressive capaci di coinvolgere la fotografia, il cinema, la pittura, la scultura, la musica, il teatro, la letteratura.


Paradossalmente mentre all’esterno “esplodevano bombe, crepitavano pistole ed si lanciavano molotov”, l’arte era in grado di filtrare “il dolore”, di aprire una miriade di finestre alle quali affacciarsi per osservare lo scorrere della vita cercando, nello stupore dell’arte, nuove strade, nuovi codici comunicativi, nuove forme di sopravvivenza dello spirito.


GIANLUIGI  MELUCCI BLOGGER 





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