LA DIGA DEL VAJONT : PER NON DIMENTICARE


                                                                            Diga del Vajont  



Il 9 ottobre del 1963, alle 22.39, dal versante settentrionale del monte Toc a cui era appoggiato un fianco della diga si staccò un’enorme frana, che scivolò rapidamente nel bacino artificiale creato dalla diga del Vajont.

La massa della frana era più grande dell’intero lago e quando ci precipitò dentro causò due onde gigantesche: una travolse le frazioni della valle del Vajont a est della diga, disperdendosi nel punto dove si allarga e risparmiando per pochissimo il paese di Erto; l’altra scavalcò la diga a ovest e si rovesciò sugli abitati nella valle del Piave con un percorso durato quattro minuti, poi salì sul versante opposto fino a perdere forza e rovesciarsi di nuovo all’indietro nella valle.


Distrusse paesi e frazioni, soprattutto Longarone, e uccise quasi duemila persone.

 La frana che cadde quella sera aveva una massa di 270 milioni di metri cubi.

I primi detriti impiegarono circa 20 secondi a raggiungere l’acqua.

La mattina dell’incidente l’ingegner Alberico Biadene, direttore dei lavori della SADE, aveva inviato una lettera al capocantiere Mario Pancini, chiedendogli di rientrare dalle ferie, preoccupato per quello che stava succedendo sul versante del monte Toc (qualche piccola caduta di sassi dal versante incriminato).

Furono commessi tre fondamentali errori umani che hanno portato alla strage:

  • l’aver costruito la diga del vajont in una valle non idonea sotto il profilo geologico;
  • l’aver innalzato la quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza;
  • il non aver dato l’allarme la sera del 9 ottobre per attivare l’evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio di inondazione.



I paesi colpiti sono stati ricostruiti, anche se la loro rinascita economica deve ancora compiersi completamente.

La diga è ancora al suo posto, sebbene sia in disuso.

Negli ultimi anni è avvenuta una ripresa di interesse verso la diga e quindi la tragedia e si sono fatte frequenti le visite guidate da parte di specialisti interessati agli aspetti scientifici della diga, ma anche di gente comune.

La zona in cui si è verificato l’evento catastrofico continua a parlare alla coscienza di quanti la visitano attraverso la lezione, quanto mai attuale, che da essa si può apprendere.

L’ENEL, oggi proprietaria delle strutture e dei terreni, ha aperto al pubblico nell’estate 2007 la parte del coronamento sopra la diga, affidando ad alcune associazioni del territorio il compito di gestire le visite guidate.

 I turisti possono ora accedere all’intero percorso del coronamento, per osservare con i propri occhi l’impressionante scenario della frana del Monte Toc e della valle sottostante di Longarone.

Per il 2013, in occasione del cinquantesimo anniversario del disastro del Vajont, la regione Veneto ha stanziato un milione di euro per la messa in sicurezza e il recupero delle gallerie interne alla montagna, prima inagibili e non perlustrabili.

In Italia il potenziale della risorsa idroelettrica è sfruttato praticamente al 90% e si è quasi giunti al limite del massimo sfruttamento possibile. Non sembra quindi essere un settore capace di espandersi ulteriormente.

Bisogna però fermarsi a riflettere per evitare che disgrazie di questo genere avvengano nuovamente in altre modalità, magari sfruttando nuove forme di energia non del tutto sicure.


GIANLUIGI  MELUCCI  BLOGGER 

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