I DIFFICILI INIZI DELLA MASCHERA MACARIO


I DIFFICILI INIZI DELLA MASCHERA MACARIO    


1) Carissimo Mauro parlaci brevemente dei difficilissimi inizi della Maschera MACARIO nella compagnia dei guitti ?

Qui parliamo del 1920.
Siamo agli albori della avventurosa vita di Macario quando giovanissimo (18 anni) lesse su un giornalino di notiziole teatrali che una Compagnia minima ( i guitti, denominati anche sprezzantemente “scavalca montagne “ ), cercava un attore da scritturare.

Rintracciare le esatte località, paesini e frazioni, è molto difficile in quel periodo nebuloso, anche per i continui spostamenti, di giorno in giorno, di queste Compagnie nomadi semiprofessionali che mai scendevano nelle grandi città ma che rappresentavano i loro spettacoli, costituiti da un drammone popolare seguito da una irresistibile farsa comica, sulle aie di campagna, alle cooperative socialiste, o nelle piazze, raramente in un teatrino vero e proprio.

Una vita zingaresca timbrata dalla miseria.

Quel ragazzo- Macario- visse così per circa tre o quattro anni confrontandosi sia con il genere tragico, sia con quello comico, che non era quello che preferiva.

Una Compagnia tipo era formata sostanzialmente da una numerosa famiglia di artisti dove tutti recitavano: dal nonno al nipotino più piccolo.

Viaggiavano su dei carri dove ammassavano anche le scenografie e i costumi.

La paga era da fame e la fame era tanta.

Dormivano dentro cascine abbandonate su giacigli improvvisati dove solo delle tende di juta fungevano da “ privacy “.

Per certo il primo paese in cui Macario arrivò fu Belgioioso nel pavese.

Non Spilimbergo che apparve durante il giro in un secondo momento.

Le zone più battute erano la Lombardia, il Veneto, il Friuli, l’Emilia- ad esempio il ferrarese- e la Toscana.

Quando Macario giunse a Belgioioso, in una cupa sera invernale densa di bruma, udì un fischio modulato emesso da una figura intabarrata ( il cavalier Salvetti ).

Quel fischio voleva dire in termini sonoro “ Miseriaaa!”.

E Macario capì cosa l’avrebbe aspettato ma la sua ferrea tenacia non lo fece mai desistere.

Era un’epoca senza comunicazioni di massa e per farsi conoscere un attore doveva passare in un paese, in una cittadina, per almeno dieci anni consecutivi.


2) È vero che MACARIO controllava puntigliosamente lo spettacolo teatrale dalla A alla Z ?

Si, Macario controllava ogni minimo particolare di una sua messinscena come puntiglioso regista tendente al perfezionismo e attento all’effettistica interpretativa della recitazione collettiva.

Non di certo finché fu un attore scritturato dove all’interno della Compagnia non poteva avere funzioni dirigenziali, ma solo a partire dal 1935 con la sua prima rivista MONDO ALLEGRO.

Continuò così per tutta la vita tra teatro di rivista e quello di prosa che comunque rimase il suo grande amore.

Quindi in ogni spettacolo impostava la recitazione, definiva “ i caratteri “, coordinava i movimenti, creava le luci, concordava il ritmo stesso dello spettacolo.

Durante le prove che duravano solitamente un mese (settembre) era molto severo e molto temuto, ma alla fine, molto amato perché, a differenza di alcuni suoi colleghi, lasciava spazio agli attori di esprimersi nelle loro peculiarità artistiche e alimentava i talenti nascenti individuandoli fin dalla loro embrionalità. 


3) Quali furono i cartellonisti che lavorarono con la Maschera MACARIO?

Non so dirti di preciso se i disegnatori e cartellonisti che lavoravano solitamente con Macario fossero gli stessi del cinema, può darsi di si, può darsi di no.

Sono propenso a ritenere che l’ambiente del cinema avesse i suoi disegnatori specializzati nella comunicazione grafica della settima arte.

Comunque i caricaturisti di fiducia erano Manca, Onorato, Gelich, Majorana, Boccasile, Sgrilli e in tempi più recenti il pittore Cesarino Monti.


4) Quale era il palcoscenico naturale voluto e preferito dalla Maschera MACARIO? 


Quando Macario, dopo l’esperienza giovanile di praticantato teatrale con i guitti, scese in città e precisamente a Torino, suo luogo di nascita, non trovò nessuna scrittura in prosa bensì in una sorta di varietà: la Compagnia Molasso.

Gli spettacoli erano costituiti da numeri di danza, di mimo, e di canti.

Rimase deluso da questa esclusione dalle grandi Compagnie di prosa.

Ma ebbe la fortuna di essere notato da una grande soubrette dell’epoca che intuì le sue potenzialità di comico: Isa Bluette.

Costei, diva del varietà, lo scritturò nel 1925 per la rivista LA VALIGIA DELLE INDIE nel duplice ruolo di imitatore e comico grottesco.

Divenne la sua maestra che gli insegnò tutto dell’arte comica: pause, tempi, controtempi, effetti, intonazioni, espressioni, furbizie sceniche.

E Macario fu sempre grato alla sua maestra di averlo avviato verso il successo. Un successo che durò sessant’anni. Mica male.


Mauro Macario  SARZANA 13/11/2018 


Gianluigi Melucci Blogger 

 



 

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