LA RESURREZIONE DEL CRISTO VIVENTE : KERIGMA CRISTIANO (20/2/2019)




La Resurrezione di Cristo è stato l’evento con la Pentecoste che ha «svelato» per gli Apostoli la portata dell’identità e missione di Gesù di Nazareth ben oltre alla sua predicazione pre-pasquale, già così carismatica, oltre i «confini» del popolo ebraico e anche oltre i confini della storia. La fede nel Risorto che si fonda su di un avvenimento reale è ciò che stupisce e muove l’impegno di evangelizzazione dei Dodici a partire da Gerusalemme fino ai confini della terra.


La teologia dopo l’illuminismo si è posta il problema se la Resurrezione possa essere catalogata e considerata come storica. Per Bultmann la realtà della Resurrezione di Cristo si identifica con quello del Kerigma. L’atteggiamento dei discepoli e degli Apostoli nei confronti dello scandalo della croce cambia radicalmente proprio per il loro incontro con il Risorto, e ciò è un dato di fatto che sottolinea la veridicità dell’evento nel contesto di un periodo storico: quello vissuto dalla comunità post-pasquale e nell’era apostolica. Infatti basterebbe prendere la Prima Lettera ai Corinzi dove l’apostolo Paolo fa una difesa della veridicità della Resurrezione di Cristo contro i delatori e i negatori della Risurrezione di Gesù.


L’animo con cui l’Apostolo tratta l’argomento indica la sua convinzione della realtà dell’evento e della veridicità dei testimoni. E tra l’altro l’Apostolo non si limita a sostenere il fatto in sé per Cristo Gesù ma l’evento reale della sua Resurrezione porta con sé anche l’aspetto escatologico in quanto essa è anticipo e ragion d’essere della resurrezione futura nella Parusia di Cristo il Vivente di tutti coloro che in Lui credono e crederanno (1Cor 15, 3-25).



Ma nella fede di Israele uomini come Enoch, che «camminò con Dio, poi scomparve perché Dio l’aveva preso» (Gen 5,24), Mosè, del quale non si conosceva la tomba (cf. Dt 34,6), Elia, che era salito al cielo in un carro fuoco (cf. 2Re 2,11), erano pensati viventi presso Dio, dunque uomini per i quali Dio aveva vinto la morte. Se questa consapevolezza faceva parte della fede, allora si poteva sperare e credere che il Signore, sempre fedele verso il credente lungo tutta la sua vita, non poteva non essere fedele quando il credente incontrava la morte (cf. Sal 16,10; 30,3-4). E così verso il II secolo a.C. emerse la fede nella resurrezione dalla morte, dunque resurrezione della carne: i santi, i martiri messi a morte a causa della loro fedeltà al Signore, risorgeranno per una vita eterna (cf. 2Mc 7,9).


Questa fede, derisa dai sadducei, assunta dai farisei e dagli esseni, sarà anche la speranza di Gesù, e i Vangeli ce ne danno una solida testimonianza. Gesù annuncia che Abramo, Isacco e Giacobbe sono viventi in Dio (cf. Lc 20,38), e al ladro crocifisso con lui promette: «Oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Sì, nella morte avviene un passaggio da questo mondo alla vita in Dio, vita in cui accadrà una trasfigurazione come quella già avvenuta nel corpo stesso di Gesù, quando «il suo volto risplendette come il sole» (Mt 17,2), e così alla fine del mondo «i giusti risplenderanno come il sole nel regno del Padre loro» (Mt 13,43).


Ma il fondamento della fede cristiana, più che nelle parole di Gesù, sta nella storia, nell’evento in cui il Padre ha definitivamente e in modo manifesto «costituito Signore e Cristo quel Gesù che era stato condannato e crocifisso» (At 2,36).Seppellito nella tomba la vigilia di Pasqua, il 7 aprile del 30 d.C., Gesù è stato richiamato alla vita eterna da Dio. Quell’evento della resurrezione non fu la rianimazione di un corpo cadaverico, non fu un ritorno alla vita fisica, ma fu un evento in cui Dio attraverso la potenza dello Spirito santo vinse la morte e trasfigurò il corpo mortale di Gesù in un corpo vivente per l’eternità.



Siamo carne nel mondo della vita animale terrestre, siamo corpo come vite individuali: resurrezione della carne indica lo stesso evento nel quale ciò che è corruttibile si rivestirà di incorruttibilità e ciò che è mortale di immortalità (cf. 1Cor 15,51-53). Il nostro corpo mortale è infatti seme del nostro corpo risorto (cf. 1Cor 15,42-44). Saremo un corpo il cui principio vitale non sarà più quello biologico, ma un corpo animato dallo Spirito santo: il corpo del Figlio di Dio! E non possiamo dimenticare che la fede nella resurrezione della carne, oltre a costituire una speranza di vittoria sulla morte, cambia il nostro vivere oggi nel mondo: perché il corpo è il luogo di salvezza per ciascuno di noi, perché il corpo dell’altro è chiamato alla vita eterna, perché il corpo è il luogo del nostro rapporto con l’altro, con Dio e con il mondo. Non è senza significato nella fede nella comunione con Dio né nell’ordine etico della relazione con gli altri: la salvezza è nel corpo, cammino dell’uomo verso di Dio, cammino di Dio verso l’uomo.


Io sono convinto che per ridestare e rinnovare la fede dei cristiani nella resurrezione della carne basterebbe che questi comprendessero la liturgia dei morti: il cero pasquale acceso che fa segno alla presenza del Risorto, «il primogenito di quelli che risorgono dai morti» (Col 1,18); l’incensazione del corpo del morto, vera proclamazione e celebrazione del tempio terrestre dello Spirito santo (cf. 1Cor 6,19) e pegno della futura resurrezione; l’aspersione con l’acqua battesimale che attesta una «vita nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3) ma destinata alla gloria eterna. Sì, il desiderio di Giobbe è fede per noi cristiani: «Questa mia carne vedrà il Salvatore!» (cf. Gb 19,26-27).


Era necessaria l’opera salvifica consumata da Cristo Gesù vero Dio e vero uomo con la sua passione e morte e che verrà dal Padre glorificato costituendolo primizia di coloro che sono morti (1Cor 15,20). La Resurrezione di Cristo, che non è altro che il crocifisso morto e sepolto che, «sottratto al potere della morte» viene riconosciuto e presentato quale Signore = Kyrios per l’intera umanità, la quale, dal suo mistero pasquale, riceve esistenziale riscatto e salvezza.



GIANLUIGI  MELUCCI BLOGGER 




 

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