LE TERRE ROSSE
Il lungometraggio racconta il fenomeno del brigantaggio in Basilicata nella sua complessità ed importanza, visto attraverso lo sguardo di un uomo del popolo. Narrando le sue vicessitudini, i suoi amori e la guerra, il film ci parla di contraddizioni e di conflitti profondi ma spesso dimenticati. Fanno da sfondo passaggi storici fondamentali quali la diffusione del Brigantaggio e la sua repressione, la morte di Cavour, Roma capitale, la morte di Vittorio Emanuele, l’attentato a Re Umberto e la prima Guerra coloniale con il disastro di Dogali.
Interamente girato in Basilicata e Toscana, il film è in dialetto lucano (sottotitoli in Italiano)
Fresco vincitore dell'ultima edizione dell'Hollywood International Moving Pictures Film Festival (categoria Drama), oltre ad essere stato finalista allo Jagran Film Festival di Mumbai (Indi) e al Napoli Film Festival, "Le Terre Rosse" è una produzione Estravago Film.
Nel 1877 venne pubblicata l’Inchiesta Franchetti-Sonnino con il titolo La Sicilia del 1876: Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, assieme al compagno di studi Enea Cavalieri, rimasero in Sicilia per i primi sei mesi del 1876, indagando la situazione economica e sociale del Mezzogiorno e portandola alla conoscenza del neonato governo italiano. L’affresco che dipinsero era impietoso: l’Italia del Sud era completamente discorde rispetto a quella settentrionale, i diritti umani minimi non erano garantiti (per esempio, i bambini venivano mandati a lavorare in miniera dai sette anni), l’istruzione era poco diffusa e tutelata, il sistema sanitario non arrivava alla maggior parte della popolazione, molti appezzamenti di terreno erano infestati dalla malaria. A livello economico la grande differenza risiedeva nella quasi totale mancanza di industrie: le terre meridionali erano principalmente latifondi, dove, nonostante l’abolizione del feudalesimo già sotto la dominazione borbonica (1734 – 1860), veniva mantenuta la forte disparità di classe. Come riportava l’Inchiesta, “il contadino, dichiarato cittadino dalla legge, rimase servo ed oppresso. Il latifondista restò sempre barone”.
In un tale contesto di malcontento, malattia, scarsità di lavoro, ingiustizia sociale, tasse pesanti per poter rimpinguare le casse demaniali (che però andavano a finanziare solo le regioni del centro-nord), si inserisce il fenomeno del brigantaggio: per i primi quindici anni dalla nascita dello Stato Italiano, nelle regioni centro-meridionali (Abruzzo, Calabria, Molise, Basilicata, Campania e Sicilia) gruppi di bande armate cercarono di ribellarsi a quelle condizioni di vita disastrose attraverso atti di estrema violenza, come rapimenti, omicidi e attentati agli edifici che rappresentavano il potere. I briganti erano soprattutto contadini e pastori, ai quali si unirono ex-militari, criminali ed evasi, una disomogeneità che in parte rivelava le forze che stavano dietro al fenomeno: già presente anche nell’Italia pre-unitaria, il brigantaggio fu sostenuto anche da quei governi, che erano stati destituiti con l’Unità (soprattutto quello borbonico); nemmeno il movimento, che protestava contro i soprusi dei potenti, riuscì a fuggire dalla ragnatela del potere. Il brigantaggio venne arginato dallo Stato in modo violentissimo, reprimendo nel sangue ogni tentativo di rivolta, arrestando, processando sommariamente e condannando a morte o all’ergastolo chiunque fosse sospettato di essere un bandito o un simpatizzante.
(“Lo Stato, qualunque sia, sono ‹‹quelli di Roma››, e quelli di Roma, si sa, non vogliono che viviamo da cristiani”, “La sola possibile difesa, contro lo Stato e contro la propaganda, è la rassegnazione”); uno Stato che esigeva pagamenti impossibili per l’economia di quelle regioni (“La tassa sulle capre era dunque una sventura: e poiché non c’era il denaro per pagarla, […]. Bisognava uccidere le capre, e restare senza latte e senza formaggio”), che preferiva non bonificare i terreni e non inviare medicinali per la profilassi contro la malaria, mandando a rotoli ogni tentativo di debellare la malattia e condannando la popolazione a rimanere inferma, debole e sottomessa, in un ciclo eterno che si ripeteva anno dopo anno, generazione dopo generazione, governo dopo governo. Nonostante questo, quando i soprusi erano molti e l’animo dei contadini non riusciva più a sopportarli, allora la rassegnazione lasciava il posto ad un subitaneo attacco d’ira, a un desiderio di vendetta e di violenza, che a volte sfociava in azioni di semi-brigantaggio: “quella gente mite […] sentiva rinascere in sé l’anima dei briganti […] e si danno al fuoco i casotti del dazio e le caserme dei carabinieri, o si sgozzano i signori”.
Gianluigi Melucci Blogger
Commenti
Posta un commento