L'articolo 191 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea
(TFUE) stabilisce la lotta al cambiamento climatico quale obiettivo dichiarato
della politica ambientale dell'UE.
Si prevede che, qualora non vengano adottate ulteriori misure volte a ridurre
le emissioni, nel corso di questo secolo la temperatura globale media possa
subire un aumento compreso tra 1,1 e 6,4°C. Attività umane quali l'utilizzo di
combustibili fossili, la deforestazione e l'agricoltura producono emissioni di
biossido di carbonio (CO2), metano (CH4), protossido di azoto (N2O) e fluorocarburi.
Tali gas a effetto serra catturano il calore che viene irradiato dalla
superficie terrestre e ne impediscono la dispersione nello spazio, provocando
il riscaldamento globale.
Il riscaldamento globale ha provocato e provocherà fenomeni meteorologici
estremi più frequenti (quali inondazioni, siccità, piogge intense e ondate di
calore), incendi boschivi, scarsità delle risorse idriche, scomparsa dei ghiacciai
e innalzamento del livello del mare, mutamento dei modelli di distribuzione o
persino estinzione di fauna e flora, malattie delle piante e parassiti,
scarsità di alimenti e acqua potabile, nonché migrazione di persone in fuga da
tali pericoli. La scienza dimostra che il rischio di un cambiamento
irreversibile e catastrofico aumenterebbe in modo rilevante qualora il
riscaldamento globale superasse i 2°C – o anche solo i 1,5°C – rispetto ai
valori preindustriali.
Nel 2006 la relazione Stern ha indicato che la gestione del riscaldamento
globale sarebbe costata all'incirca l'1 % del PIL mondiale ogni anno,
mentre il costo dell'inazione si sarebbe attestato intorno ad almeno il
5 % del PIL, fino ad arrivare al 20 % del PIL globale nello scenario
peggiore fra quelli ipotizzabili. Pertanto, sarebbe necessaria soltanto una
piccola parte del PIL globale totale per investire in un'economia a basse
emissioni di carbonio e la lotta al cambiamento climatico apporterebbe in
cambio vantaggi sotto il profilo della salute e una maggiore sicurezza
energetica, oltre a limitare ulteriori danni.
L'adattamento ai cambiamenti climatici spazia da misure a costo e impatto
limitati (come la conservazione delle risorse idriche, la rotazione delle
colture, le colture resistenti alla siccità, la pianificazione pubblica e
l'opera di sensibilizzazione) fino a misure costose di tutela e
rilocalizzazione (tra cui l'innalzamento degli argini, lo spostamento di porti,
industrie e persone dalle zone costiere e dalle pianure alluvionali più basse).
Nel dicembre 2015, dopo oltre due decenni di negoziati, i governi hanno adottato il primo accordo universale per contrastare i cambiamenti climatici in occasione della 21a conferenza delle parti (COP 21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) tenutasi a Parigi. L'accordo di Parigi mira a mantenere l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C e, se possibile, a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali.
A tal fine, le parti si propongono di stabilizzare quanto prima le emissioni di gas a effetto serra a livello mondiale e di conseguire l'azzeramento delle emissioni nette nella seconda metà del secolo. Le fonti di finanziamento devono perseguire tali obiettivi. Per la prima volta tutte le parti devono compiere sforzi ambiziosi per ridurre le emissioni di gas a effetto serra seguendo il principio delle responsabilità comuni ma differenziate e delle rispettive capacità, vale a dire in base alle rispettive situazioni e alle possibilità di cui dispongono.
Ogni cinque anni tutti i paesi devono rinnovare e aggiornare i propri piani d'azione in materia di clima («contributi determinati a livello nazionale») e comunicarli in modo trasparente onde consentire la valutazione dei progressi collettivi («bilancio globale»). In particolare i paesi più vulnerabili, i paesi meno sviluppati e i piccoli Stati insulari in via di sviluppo saranno sostenuti sia a livello finanziario che di sviluppo delle capacità.
L'adeguamento ai cambiamenti climatici, al pari della loro mitigazione, è riconosciuto come sfida mondiale; è altrettanto importante far fronte «alle perdite e ai danni» associati agli effetti avversi dei cambiamenti climatici. L'accordo è entrato in vigore nel novembre 2016 dopo essere stato ratificato dal numero minimo di 55 governi che rappresentano almeno il 55 % delle emissioni globali di gas a effetto serra.
Tutti i paesi dell'UE hanno
ratificato l'accordo di Parigi.
Che la NOSTRA MADRE TERRA SIA SEMPRE PROTETTA
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