" SOTTOVOCE" : MOSTRA D'ARTE CONTEMPORANEA AL MAC DI GUARCINO (FROSINONE) DELLE ARTISTE MARIA CREDIDIO E MARIANGELA CALABRESE
Una titolazione – Sottovoce –
che non ha rimandi inusuali o sibillini.
Come a svolgersi in un silenzio misurato, in
una sorta di “assenza” che si fa condizione dello sguardo e dell’azione. In
tutto ciò il luogo è preminente. La sala espositiva del MAC di Guarcino,
sulla sommità quasi ancestrale del borgo, si apre a due percorsi autonomi –
entrambi al femminile - e perfino distanti nel loro spiegarsi tra intendimenti,
ipotesi, affermazioni.
Mariangela Calabrese
Gli slabbrati sassi d’oro che Mariangela
Calabrese depone in minuti “cortili” sembrano essere – in effetti lo
sono – generose offerte di riflessione. Ovvero meteore piovigginose dirette
oltre il tempo conosciuto, oltre il cielo misurato. Al vento tiepido si danno.
Al vento che non ha casa o rifugio. Che è transito di battiti e di minuziose
memorie. O lasciti di sguardi, celate presenze, sorrisi archiviati.
C’è un destino comune tra le “icone” che
ridisegnano il muro di biacca e le “pietre d’oro” che occupano lo spazio
antistante. Più che un destino un dialogo. In verità non so della disposizione
del tempo, ovvero non conosco chi abbia suggerito cosa e quando tutto ciò sia
accaduto. Chi abbia il primato di un prologo conversale: se i filamenti aurei
che fanno meridiana alle “mappe” (mi ostino a definirle così nonostante “icone”
sia la titolazione premeditata) o gli slabbrati sassi custoditi nella
trasparenza e “apparecchiati” a mo’ di città galleggiante su minuscole
palafitte di acciaio. Certo è che si avverte, a ben guardare, l’assonanza,
l’intendimento – perfino il vocio notturno – tra quelle che potremmo definire
le “parti in causa”. Come se le piccole tele fossero in verità specchi
appartati pronti ad impregnarsi dei bagliori sottostanti, a raccoglierne le
sentenze o le avvisaglie e farsi, pian piano, topografia del sentire. Il colore
smarrisce determinatezza ricomponendosi per tracce – anch’esse – scheggiate,
per fibre e occasioni di luce. O di ombre.
In direzione contraria le “pietre d’oro”
sembrano colmarsi di quella levità e custodirla; al pari di uno sguardo, di una
memoria, di un viaggio. O di una storia.
Maria Credidio
Un “cammino” artistico
è, di per sé, un consapevole esercizio di sguardi, di essenze, di trame. Al
pari della forma o della corporeità dei segni che mutano senza riparo alcuno
come pronunciamenti tellurici: per indugi, per aliti, per ascolto. Rivendica
per sè il ruolo di artista “analitica” Maria Credidio, ovvero
quella condizione di “nuovo prologo” che frena contaminazioni di intenti,
assembramenti di fragilità e umori.
La “figurazione”
dell’infanzia è in fondo un esercizio consueto per chi ha coscienza di
promuovere una formazione – la propria – intransigente, diremmo severa, perché
di esercizio, di analisi, di necessari apprendimenti.
Del presente diciamo,
del suo naturalmente, che nonostante una “compiaciuta” architettura di
equilibri concilianti appare meno rassicurante di quanto raccolto,
nell’immediatezza, dallo sguardo. Perché le forme care alla Credidio – “gli
artisti anticipano gesti scientifici, i gesti scientifici provocano sempre
gesti artistici” sottolineava Lucio Fontana- sono in verità modelli
scomponibili, pronti a determinare, di continuo, inediti prologhi o insoliti
propositi. Per fragilità, per nascondimento, per storie, per dolore. Ecco
allora che i “modelli” strappati alla determinazione geometrica si fanno invero
minuti frammenti di un linguaggio proprio: di accumulo, di resoconti, di
ferite.
ROCCO ZANI
GIANLUIGI MELUCCI BLOGGER POTENTINO
PORGO i miei più sinceri e calorosi complimenti a MARIA CREDIDIO
RispondiElimina🤗🤗🤗
RispondiElimina