ANTONIO CALDERARA
Molto più noto in Olanda e in Germania, Antonio Calderara (1903-1978), nato ad Abbiategrasso -come amava dire, “in Europa”, vissuto a Vacciago di Ameno (Novara) sul lago d’Orta- spinge alla riflessione sulla continuità della ricerca pur distinta in due periodi, il figurativo e l’astratto, da una cesura di ben dieci anni.
Poco, di tale periodo figurativo, risulta documentato nella casa-museo di Vacciago, aperta e preziosa per gli estimatori dell’astrattismo, segnatamente quello razionalista, del peculiare razionalismo di Calderara e di correnti degli anni Cinquanta-Settanta.
Nell’allestimento curato dallo stesso Calderara sono per lo più artisti a lui congeniali e cronologicamente vicini, oltre a esponenti di vere e proprie avanguardie storiche (Friedrich Vonderberg Gildewart, caro al critico Gillo Dorfles, riporta il pensiero a Mondrian, a cui molto si deve nell’ambito razionalista; Sonia Delaunay Terk è presente con colori di forte presa) e di ripercussioni locali (Bice Lazzari e Mario Radice, l’astrattismo geometrico tra Milano e Como).
Il peculiare astrattismo di Calderara è un razionalismo permeato e ingentilito da colori innalzati a luce bianca, un insieme di indubbia attrazione, per il mondo europeo settentrionale segnato dalla geometria del pur lontano cronologicamente ma sempre presente iniziatore Mondrian –attrazione, comunque, non solo per somiglianza.
A dialogare con Calderara, che con alcuni autori contemporanei al suo astrattismo ebbe anche rapporti di calda amicizia, sono, fino agli anni Settanta, quadrati bianchi e neri ( nel silente ricordo di molti, opera, oltre Mondrian, Malevič) a superfici lisce o compartite a moduli -questa la spia di una contemporaneità più recente- di produzione olandese e tedesca: il monocromo costruisce lo spazio ed è proiezione di spazio.
Il Calderara astratto razionalista ha movimentato e alleggerito la staticità dei suoi quadrati col ricorso ai colori pastello (azzurri chiari, grigi perla, moderati rosa, tenui gialli) poco in uso nel razionalismo, sottili, oltre che nell’acquerello, anche nella stesura a olio; piccoli inserti cromatici un poco più carichi del colore del campo (Costellazione, 1969-70) conferiscono variazione -che è già moto- al campo stesso e obbligano l’osservatore a una concentrazione diversa dello sguardo e dell’attenzione, cioè a un moto imprevisto, specialmente nelle figure, quasi tutti quadrati, talvolta in serie.
Il tono su tono accentua l’effetto luce, anche nelle poche opere di colore acceso o scuro. Spazio Luce, titolo di molti lavori dal 1959 -tanto da far pensare a una ripetuta dichiarazione di intenti, e titolo ‘ben’ astratto, non solo perché, come ovvio nell’astrattismo, Calderara azzera l’oggetto, ma proprio, col tendere a quegli infiniti, lo trascende- può essere chiave di lettura di tutta la produzione, non solo di quella astratta.
Reso peculiare da luce-colore-ritmo, il quadrato-quadro (s)qualifica come dejà vu artisti diversi anche recentissimi, assai ripetitivi, specialmente statunitensi, presenti in altre collezioni.
E, per tornare al vero soggetto, un uomo in incessante pensiero: neanche la scrittura rimase estranea ai quadrati di Calderara, gli ultimi, ma sublimata e allusa, perché di pochi segni ripetuti -nulle parole- come emersi dopo un accurato lavoro di ‘risparmio’.
Gianluigi Melucci Blogger
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